
Ancora "La coscienza", perdonatemi.
Ma l'avevo lasciata in sospeso per leggere altro e stamattina riaprendola dove l'avevo interrotta mi sono trovata davanti il brano che troverete qualche riga più in basso.
Quindi gli ingranaggi mentali hanno cominciato a sferragliare e quando è così...ma chi li ferma più?
Anzi...quello che ho scritto è un sunto (probabilmente anche caotico) delle mie riflessioni mattutine mentre svolgevo le consuete faccende domestiche. Rifare i letti mi fa questo effetto...
Leggete eh." Però mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo essa credeva la vita eterna. Non che la dicessi tale: si sorprese anzi che una volta io, cui gli errori ripugnavano prima che non avessi amati i suoi, avessi sentito il bisogno di ricordargliene la brevità. Macché! Essa sapeva che tutti dovevano morire, ma ciò non toglieva che oramai ch'eravamo sposati, si sarebbe rimasti insieme, insieme, insieme. Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa, ciò avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve, che non s'intendeva come si fosse arrivati a darsi del tu dopo di non essersi conosciuti per un tempo infinito e pronti a non rivedersi mai più per un altro infinito tempo. Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. Cercai di esservi ammesso e tentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e lei, perché questo conato non poteva essere altro che la mia malattia ed io dovevo almeno guardarmi dall'infettare chi a me s'era confidato.
Anche perciò, nello sforzo di proteggere lei, seppi per qualche tempo movermi come un uomo sano.
Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt'altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevano un'importanza enorme: l'anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né quando io non m'adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto.
Di domenica essa andava a Messa ed io ve l'accompagnai talvolta per vedere come sopportasse l'immagine del dolore e della morte. Per lei non c'era, e quella visita le infondeva serenità per tutta la settimana. Vi andava anche in certi giorni festivi ch'essa sapeva a mente. Niente di più, mentre se io fossi stato religioso mi sarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno.
C'erano un mondo di autorità anche quaggiù che la rassicuravano. Intanto quella austriaca o italiana che provvedeva alla sicurezza sulle vie e nelle case ed io feci sempre del mio meglio per associarmi anche a quel suo rispetto. Poi v'erano i medici, quelli che avevano fatto tutti gli studii regolari per salvarci quando - Dio non voglia - ci avesse a toccare qualche malattia. Io ne usavo ogni giorno di quell'autorità: lei, invece, mai. Ma perciò io sapevo il mio atroce destino quando la malattia mortale m'avesse raggiunto, mentre lei credeva che anche allora, appoggiata solidamente lassù e quaggiù, per lei vi sarebbe stata la salvezza.
Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m'accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d'istruzione per guarire. Ma vivendole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio. "
Io adoro questo passaggio, la descrizione della salute di Augusta colta dall’occhio di Zeno fa risaltare per contrasto quella che è l’intima essenza della malattia.
Quella salute è la stessa che invidio io pure!
Avere l’immediatezza delle certezze, comprendere di netto cos’è il bene e cos’è il male, trovare conforto e tranquillità nelle piccole cose stabilite del quotidiano, sapere esattamente quello che farò domani e che sarà del tutto identico all’oggi.
Quella che io definisco spesso a spregio…semplicità…è la cosa che più mi manca.
Come Zeno io ambisco alla salute, ma nello stesso tempo mi crogiolo nella mia malattia consapevole che essa in qualche modo mi rende “speciale”.
Non come Emma Bovary…piccola frivola donnetta borghese che si credeva anima eletta e aborriva coloro che le vivevano intorno!
Sciocca, convinta che la vita avesse contratto un debito nei suoi confronti così da richiederne ansiosamente il saldo ad ogni minima occasione.
Pronta ad incapricciarsi per suo personale diletto ( e noia ) del primo (anche unico) uomo che le capitasse vicino.
Insopportabilmente capricciosa, fosse vissuta oggi avrebbe accoltellato i figli ( o magari li avrebbe solo abbandonati ) pur di apparire in TV!
Disgusto… l’ho sempre detestata, sapete?
Io che sono un mostro, consapevole di essere un mostro almeno, nei confronti dei miei cari mi sento inadeguata, incapace di corrispondere alle loro esigenze con tutta me stessa perché c’è sempre una parte di me che si ritrae, si tiene in disparte e dubita e chiede e si tormenta.
Una parte di me che beffarda ride di ogni certezza, di ogni convinzione e che non mi riesce mai di far tacere.
E questo per me è fonte di dolore perché so di non essere compatibile con la vita familiare e temo ogni momento di sottrarre loro qualcosa.
Ma non era meglio essere una laboriosa formichina come Augusta dall’occhio sbilenco?